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Il quadro di Gian Antonio Guardi 'Ritorno della Sacra Famglia dal Tempio con Sant'Antonio di Padova e l'iconografia post tridentina 'in Bosnia othomana' (CROSBI ID 166943)

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Sanja Cvetnić Il quadro di Gian Antonio Guardi 'Ritorno della Sacra Famglia dal Tempio con Sant'Antonio di Padova e l'iconografia post tridentina 'in Bosnia othomana' // Ikon, III. (2010), 3; 321-325

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Sanja Cvetnić

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Il quadro di Gian Antonio Guardi 'Ritorno della Sacra Famglia dal Tempio con Sant'Antonio di Padova e l'iconografia post tridentina 'in Bosnia othomana'

Le opere d’arte dei conventi bosniaci ed erzegovini, raccolte durante il dominio dell’Impero ottomano (1463-1878), hanno suscitato l’interesse di diversi storici dell’arte dopo la mostra «I Francescani della Bosnia ed Erzegovina nel crocevia di culture e civiltà», organizzata nel 1987 a Sarajevo (Bosna Erzegovina) e nel 1988 a Zagabria (Croazia). L’evento espositivo ha contribuito a mettere in luce che i francescani della provincia storica francescana Bosna Argentina, che furono l’unica presenza della Chiesa in partibus infidelium, si appoggiarono specialmente alla cultura lagunare. A Venezia si rivolsero, infatti, per stampare i loro libri, per educare i novizii, vi si recarono per elemosinare, ma anche per acquistare opere destinate alla decorazione dei loro edifici di culto. Perciò la presenza di dipinti di scuola veneta, da quelli di Baldassarre d’Anna a quelli di Sebastiano Devita, che in periodi diversi lavorarono per le chiese della confinante Dalmazia, o addiritura vissero lì, non ha destato sorpresa. Un quadro di Gian Antonio Guardi è stato invece una vera rivelazione, seppur per pochi. Sebbene sia stato esposto in mostra, non è stato riprodotto nel catalogo che ha accompagnato l’esposizione, dove è apparso con una breve didascalia che lo ha identificato come opera di un «maestro veneto del XVIII secolo». Il dipinto non è sfuggito a Grgo Gamulin che l’ha pubblicato alcuni anni dopo (1992), corredando il contributo con una riproduzione in bianco e nero, rivelatasi importante per riconoscerlo e rintracciarlo dopo i successivi turbolenti avvenimenti storici. Tutto ciò – la mostra e il contributo di Gamulin – è accaduto, infatti, alla vigilia della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995), le cui atrocità non hanno risparmiato i conventi francescani. Nel periodo seguente la fine del conflitto bellico ha avuto inizio la ricerca del quadro, lunga e piena di frustrazioni, in parte a causa dell’erronea ubicazione, segnalata nelle due pubblicazioni menzionate (convento di Visoko), e del titolo fuorviante (indicato come Sant’Anna, Gioacchino, Maria e sant’Antonio di Padova), in parte a causa dalla documentazione scarsa o dispersa. Si è risolta nel giugno del 2006 – dopo un anno e mezzo di inutili e ripetute ispezioni delle collezioni di Visoko (ubicazione precedentemente indicata) e dei vicini conventi storici francescani di Kraljeva Sutjeska, Fojnica, Kreševo, Olovo e Vareš – con il reperimento nel piccolo convento francescano di Petričevac, ai margini settentrionali della provincia Bosna Argentina, nei suburbi di Banja Luka, distante circa duecento chilometri da Visoko. Le dimensioni del dipinto, il cui soggetto può essere meglio definito come il Ritorno della Santa Famiglia dal Tempio con sant’Antonio di Padova, sono 40, 1 x 32, 7 centimetri. Sulla commissione o sulla presenza dell’opera nessun documento, pubblicato o conservato nell’archivio del convento, è noto. Le condizioni del quadro sono buone, anzi ottime se confrontate con quelle della chiesa di Petričevac, distrutta fino alle fondamenta ed ancora in rovina. È stato rintelato (probabilmente in occasione della mostra del 1987), ma la documentazione sull’intervento non è stata conservata. In basso a sinistra porta un’iscrizione appena visibile: «O. [o G ?] P. F. », sotto alla quale alcuni numeri (?) non sono decifrabili. L’iconografia si basa su un passo famoso del Vangelo di Luca in cui Maria e Giuseppe ritrovano Gesù nel Tempio a Gerusalemme tra i dottori: «Nel vederlo, essi furono stupiti e sua madre gli disse: 'Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo!' Ma egli rispose loro: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio?'. Essi però non compresero ciò che aveva detto loro. Egli scese con loro e tornò a Nazaret, ed era loro sottomesso» (Lc 2, 48-52). La composizione del Guardi si basa fortemente su una pala d’altare con il Ritorno della Santa Famiglia dal Tempio che Pietro Paolo Rubens («con largo intervento della bottega», Michael Jaffé, Rubens. Catalogo completo, Milano: Rizzoli, 1989, p. 264) ha eseguito per la cappella laterale dedicata a san Giuseppe, nella chiesa dei Gesuiti ad Anversa, costruita nel 1621. Il dipinto di Rubens è stato tradotto in stampa dall’incisore fiammingo Schelte à Bolswert «con notevoli differenze», con un’«esecuzione debole che indica una data tarda nell’attività» (Didier Bodart, Roma Mezzetti, Rubens e l’incisione. Roma: De Luca Editore, 1977, p. 37). Nonostante le «debolezze» dell’incisione presentino Bolswert non come uno dei migliori interpreti grafici delle invenzioni del Rubens (la cui opera ebbe, infatti, altri incisori come Paulus Pontius e Lucas Vorsterman), proprio questa stampa poté servire a Gian Antonio come veicolo di un modello, in quanto l’artista ne riprende la disposizione del gruppo, cita da essa lo scambio di sguardi teneri ed affettuosi tra la Vergine ed il Figlio, l’inchino premuroso di san Giuseppe ed il gesto con il quale il santo afferra Gesù: non per la mano, ma per l’avambraccio, ansioso di non perderlo di nuovo. Oltre all’immancabile identificazione dell’inventore, già divenuto simbolo di successo («P. P. Rubbens [sic] pinxit»), Bolswert ha indicato nell’iscrizione anche il testo biblico a cui s’ispira l’iconografia: «ET ERAT SUBDITUS ILLIS, Luc. 2». Il crescente numero di opere dedicate al tema del Ritorno dal Tempio mira ad affermare il concetto della Trinità terrestre (Vergine, Gesù, san Giuseppe) della Santa Famiglia ed il nuovo ruolo da essa ottenuto nella «pedagogia religiosa» dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563). Nel saggio sull’iconografia post tridentina Émile Mâle (1932) ha infatti inserito il tema iconografico del Ritorno della Santa Famiglia dal Tempio tra le nuove devozioni: «In questi tre personaggi il pensiero cristiano riconobbe una Trinità nuova, la Trinità terrestre, immagine della Trinità celeste» (Émile Mâle, L’art religieux de la fin du XVIe siècle, du XVIIe siècle et du XVIIIe siècle. Étude sur l’iconographie après le Concile de Trente. Italie, France, Espagne, Flandres. Paris: Librairie Armand Colin, 1951 [1932], p. 312). Rievocando il brano del Vangelo da cui è tratta, questa iconografia offre anche il modello dell’obbedienza individuale con la quale si conclude la narrazione biblica dell’evento. Sant’Ignazio di Loyola ha sottolineato particolarmente l’obbedienza negli Esercizi Spirituali come via da seguire. Nel terzo giorno della seconda settimana egli propone di contemplare l’obbedienza di Gesù Bambino nei confronti dei suoi genitori, ma nella seguente Premessa per considerare gli stati di vita allarga il discorso: «Dopo aver considerato l’esempio che Cristo nostro Signore ci ha dato per il primo stato di vita, consistente nell’osservanza dei comandamenti, quando Egli ubbidì ai genitori, e per il secondo stato di vita riguarante la perfezione evangelica, quando restò nel tempio e lasciò il padre adottivo e la madre naturale per dedicarsi al servizio completo del suo eterno Padre, cominceremo a riflettere e a domandarci, mentre continuiamo a contemplare la sua vita, in quale condizione o stato di vita la sua divina maestà vorrà servirsi di noi. [...].» (Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali in: Mario Gioia /ed./, Gli scritti di Ignazio di Loyola. Torino: UTET, 1977, p. 126). Viste le ridotte dimensioni, tali da non consentire di pensare che fosse destinato ad un altare, e considerando che oltre alla Santa Famiglia esso rappresenta il grande santo francescano – sant’Antonio di Padova –, il dipinto di Guardi a Petričevac avrà potuto svolgere la funzione di supporto visivo nella meditazione sul tema dell’ubbidienza e per rafforzare i francescani bosniaci nel difficile compito loro imposto, nell’accettazione di un tempus tacendi (al contrario del tempus loquendi del grande oratore sant’Antonio). Grande oratore e malleus hæreticorum, nel quadro di Guardi il santo appare come umile pedagogo religioso (camminando dietro la Santa Famiglia), come protagonista di una visione (della stessa Santa Famiglia), in una situazione narrativa basata sul Vangelo. Letta in questo modo, l’iconografia del piccolo dipinto del Guardi, Ritorno della Santa Famiglia dal Tempio con sant’Antonio di Padova, rivela la forte presenza della spiritualità post tridentina in Bosna othomana. Le indicazioni tridentine, tradotte in un programma catechistico, non hanno tardato infatti ad intraprendere un’estesa diffusione teologica e liturgica, come dimostrano le relazioni alla Sacra Congregatio de Propaganda Fide e le cronache francescane del periodo (per esempio quelle di fra Bono Benić, fra Jako Baltić, fra Marijan Bogdanović) ; tuttavia, il riflesso in iconografie più efficaci si è confermato particolarmente nel Settecento, nelle commissioni di opere e paramenti, nei progetti di rinnovamento delle chiese francescane ... nella Chiesa rinnovata.

Gian Antonio Guardi; francescani; Bosnia Argentina; Petrićevac; iconografia post tridentina; Pietro Paolo Rubens; Schelte à Bolswert

Rad je napisan na temelju izlaganja o rezultatima istraživanja iznesenih na znanstvenom skupu Franjevačka ikonografija (Franciscan Iconography / Iconografia francescana) održanoga u Rijeci, 21.-22. svibnja 2009.

engleski

The Painting of Gian Antonio Guardi 'Return on the Holy Family from the Temple with Saint Anthony of Padua' and Post-Tridentine Iconography in the Ottoman Bosnia

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Gian Antonio Guardi; Franciscan friars; Bosnia Argentina; Petrićevac; Post-Tridentine Iconography; Peter Paul Rubens; Schelte à Bolswert

nije evidentirano

Podaci o izdanju

III. (3)

2010.

321-325

objavljeno

1846-8551

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